Una storia d’amore dai toni gotici, che scava nella psicologia di personaggi emotivamente feriti, condita con l’eccellente performance dei protagonisti, una bella sceneggiatura, una sapiente regia e una post-produzione degna di questo nome.
Korean Dramaland Italia
Dove trovarlo: Netflix Italia
Episodi: 16
Emittente: tvN
Questa recensione contiene spoiler.
Indice
- Il drama
- I personaggi principali: Ko Mun Yeong | Moon Kang Tae | Moon Sang Tae
- I personaggi secondari: Nam Ju Ri | Lee Sang In | Yoo Seung Jae | Jae Su
- La relazione dei protagonisti
- La produzione
- I lati negativi
- Considerazioni finali
1. Il drama
Una scrittrice di racconti per bambini particolarmente dark, Ko Mun Yeong, e un badante che lavora negli ospedali psichiatrici, con un fratello autistico a carico. Il mondo dei drama coreani non fa che ricordarci che niente è come sembra, e anche per questi tre personaggi è così. Come si capisce dal titolo (quello originale sarebbe letteralmente Psycho, but it’s okay – 사이코지만 괜찮아 Saikojiman Gwaenchana), si tratta di un drama che si destreggia attraverso i traumi psichici ed emotivi dei personaggi e ne segue l’evoluzione e il percorso verso una pace interiore che forse non sarà completa, ma rappresenta per tutti loro un nuovo inizio.
Un perfetto healing drama, un drama che guarisce gli animi e ci regala emozioni lungo tutto il suo corso.

Iniziamo con il dire che questo drama non è tanto plot-driven (guidato dagli eventi) quanto è invece character-driven (guidato dai personaggi), e questo lo rende automaticamente molto più complesso da scrivere e, forse, anche da ricevere da parte del pubblico. Sono storie in cui è l’interiorità dei personaggi a farla da padrone, il loro sviluppo, i traumi personali contro cui lottano, più che il mondo circostante.
In più, It’s Okay To Not Be Okay (che da ora in poi potrete trovare abbreviato come IOTNBO) affronta la tematica delle malattie mentali, che purtroppo in Corea sono ancora una sorta di tabù e di cui si parla ancora poco e mai in modo approfondito.
Il drama rientra tra quelli tratti da webtoon coreane (sorpresa!). Questa cosa è però stata svelata solo alla fine della messa in onda, per evitare che il pubblico, anziché guardare il drama, si riversasse sulla webtoon, influendo negativamente sull’andamento degli ascolti.
Resta comunque il fatto che quando si parla di adattare un’opera che viene trasferita da un medium a un altro (in questo caso da un fumetto a una serie tv), c’è bisogno di qualcuno che sappia il fatto suo e che non perda l’essenza del racconto, ma soprattutto che riesca a adattare dialoghi, situazioni, a rielaborare magari parti di trama, in modo che aderiscano perfettamente al medium televisivo, ai tempi e al numero di episodi da cui la serie è composta, e che riescano a catturare gli spettatori.
Credo che la sceneggiatrice Jo Yeong abbia fatto un ottimo lavoro in tal proposito con i personaggi principali e con la trama in generale, ma con i secondari ho riscontrato delle mancanze che non me li hanno fatti piacere. Preciso che non ho letto la webtoon e che quindi il mio giudizio è unicamente basato su quel che ho potuto vedere nella serie.
Non è semplice scrivere un drama di questo genere, anche quando si tratta di un adattamento; parla di tematiche spinose e riesce a farlo in un modo non pesante, ma nemmeno caricaturale, senza far perdere di vista la serietà della questione. Quindi, è giusto dare merito sia all’autore della webtoon da cui la storia si è generata, che alla sceneggiatrice che è riuscita a portarla sul piccolo schermo, prima ancora di parlare di tutto il resto.
In particolare, trovo molto interessante l’utilizzo che viene fatto delle fiabe più famose, e non solo fiabe, dato che troviamo anche Romeo e Giulietta di Shakespeare. Non sono soltanto un elemento caratterizzante il personaggio di Mun Yeong, la scrittrice di storie per bambini; le fiabe permeano tutto il tessuto che si intreccia e va a costituire la trama di IOTNBO, attraverso di esse impariamo a conoscere i personaggi, sono emblematiche di certi eventi che accadono nel corso del drama, ricorrono nei dialoghi, e quelle di Mun Yeong, come vedremo, sono plasmate direttamente dalla sua visione del mondo.
2. I personaggi principali
Ko Mun Yeong (interpretata da Seo Ye Ji)

La famosa scrittrice Ko Mun Yeong ostenta una corazza fatta di egoismo, arroganza, spavalderia, menefreghismo, sicurezza di sé, testardaggine e caratteristiche similari. È sfacciata, non ha peli sulla lingua e sembra che le piacciano le cose belle, a prescindere che siano oggetti o persone. Se vuole qualcosa, se lo prende, e il suo editore le sta costantemente addosso per riparare alle controversie che la sua personalità asociale e senza tanti filtri la porta a creare.
Ma c’è di più in lei; le sue storie, che vengono giudicate inadatte per i bambini perché sono troppo dark, crude, non certo favole alla Cenerentola, nascondono messaggi che vengono direttamente dalle esperienze personali dell’autrice. Il suo passato, infatti, non è per nulla rose e fiori; vediamo da subito frammenti di esso in cui il padre cerca di ucciderla, e una figura materna che non si riesce mai a vedere alla luce del sole la tormenta senza sosta. Capiamo che questo l’ha segnata profondamente: le storie della scrittrice rappresentano un po’ i suoi fantasmi interiori, le sue paure e il suo modo di vedere il mondo, forgiato dalle esperienze che ha vissuto.
L’attrice Seo Ye Ji è perfetta in questo ruolo, con il suo sorriso fanciullesco e incredibilmente dolce che non è soltanto della bocca ma del suo intero viso; già questa caratteristica dell’attrice si contrappone al lato del personaggio che sta in superficie, alla maschera di cinismo e insensibilità che indossa, poi la sua recitazione pensa a far emergere tutto il resto. Adoro la sua voce profonda, insolita per le attrici coreane, e adoro come ha interpretato le diverse sfumature di Mun Yeong, a mio parere in modo impeccabile.
Moon Kang Tae (interpretato da Kim Soo Hyun)

Il protagonista maschile è invece Moon Kang Tae, un ragazzo rimasto orfano e con un fratello maggiore affetto da autismo, Sang Tae, del quale si prende cura in tutto e per tutto, con amore e pazienza. Ma, pur essendo l’opposto della sua controparte femminile, perché al contrario di lei fa un lavoro che lo porta ad aiutare gli altri e a empatizzare con loro, anziché a pensare solo a sé, anche lui nasconde un passato difficile. Ferite che il tempo non ha rimarginato, e che lui non ha mai saputo curare; si è chiuso in se stesso e nel lavoro, nascondendosi dietro al senso di responsabilità e protezione verso il fratello maggiore.
Kang Tae ci si presenta come una sorta di nomade apatico, costretto a occuparsi del fratello fino a trascurare completamente se stesso e i suoi bisogni, a trasferirsi di casa in casa ogni volta in cui Sang Tae è terrorizzato da delle farfalle che lo inseguono nella sua testa. La ragione per il comportamento di Kang Tae e il significato delle farfalle, una costante in questa storia, emergono più avanti nel drama, e ne parleremo nei paragrafi successivi.
La cosa che molti non si aspettavano e che ha lasciato un po’ di amarezza tra una certa fetta di pubblico, essendo questo il primo drama completo di Kim Soo Hyun da quando ha finito il servizio militare, è che qui il protagonista effettivo non è l’uomo, almeno all’inizio; la protagonista indiscussa, soprattutto nella prima parte del drama, è Ko Mun Yeong, con i suoi eccessi e le sue debolezze, ma Moon Kang Tae arriva subito dopo di lei, in quanto, oltre ad avere la sua personale storia, rappresenta la salvezza della protagonista, il perno di sicurezza che impedisce alla bomba Ko Mun Yeong di esplodere e causare danni.
Ma, meglio ancora, i due sono la salvezza l’uno dell’altra; entrambi hanno qualcosa da imparare, entrambi hanno qualcosa da insegnare.
Moon Sang Tae (interpretato da Oh Jung Se)

E, a dire il vero, c’è un terzo protagonista che emerge più chiaramente con il procedere degli episodi: è proprio Sang Tae, interpretato da Oh Jung Se, fresco di premiazione ai prestigiosi Baeksang Arts Awards 2020 (Miglior Attore Non Protagonista).
Sono rimasta colpita dal modo in cui ha portato sullo schermo un uomo affetto da autismo che all’inizio il pubblico percepisce come un ostacolo per Kang Tae, ma che poi finalmente si prende il suo posto e fa capire quanto anche lui abbia da dare a suo fratello e non solo, quanto sia ricco di genuinità, di gentilezza, di altruismo e di amore. Sono tanti i momenti che mi hanno fatta emozionare, e molti coinvolgono proprio questo personaggio, magistralmente interpretato. Il mio applauso più forte infatti, tra tutti gli attori, va probabilmente a Oh Jung Se!
3. I personaggi secondari
Nam Ju Ri (interpretata da Park Kyu Young)
Lee Sang In (interpretato da Kim Joo Hun)
Yoo Seung Jae (interpretata da Park Jin Joo)
Jae Soo (interpretato da Kang Ki Doong)
Nam Ju Ri (Park Kyu Young) Lee Sang In (Kim Joo Hun)
Yoo Seung Jae (Park Jin Joo)Jae Soo (Kang Ki Doong)
Quando parlavo dell’ottimo lavoro con i protagonisti e delle mancanze di alcuni dei secondari, mi riferivo al fatto che non ho gradito particolarmente i ruoli della tirocinante Yoo Seung Jae e dell’infermiera co-protagonista, Nam Ju Ri. Entrambe scialbe e irritanti, non realmente utili alla narrazione, che avrebbe potuto svolgersi anche senza di loro. Insomma, dei riempitivi per aggiungere un triangolo amoroso alla storia principale e qualche gag, ma niente di realmente utile o interessante.
Non ho apprezzato le performance di nessuna delle due attrici, forse se questi due personaggi fossero stati interpretati da qualcun altro sarebbero risultati pur sempre piatti, perché a onor del vero è un po’ così che sono stati scritti, ma magari meno irritanti e con qualcosa da salvare. Avete presente la famosa “cutesy”? Ecco, è il caso di dire che il troppo stroppia. La tirocinante, poveretta, sembra soltanto che non capisca nulla e non faccia nemmeno nulla di speciale; non la salva nemmeno lo sprint di astuzia finale con cui inganna il suo datore di lavoro, Lee Sang In, né il suo avvicinarsi a Sang Tae. Mi dispiace, per me è NO.
Nam Ju Ri avrebbe dovuto aggiungere un po’ di pepe alla relazione tra i due protagonisti, ma non lo fa anche a causa dell’atteggiamento indifferente di Kang Tae nei confronti dell’amore. è chiaro da subito che a lui non piace lei se non come amica, non ci sono sorprese. In più, quando comincia a sviluppare interesse per Lee Sang In, è una nave che non salpa (o che non vediamo salpare) e non comporta grandi cose per la linea narrativa principale, quindi è una storyline abbastanza frivola e, secondo me, inutile.
Anche l’editore/agente di Mun Yeong, Lee Sang In per l’appunto, non spicca né come personaggio né per l’interpretazione dell’attore, tranne rarissimi momenti; ma c’è da dire che occasionalmente emerge il suo lato più umano e che dimostra di conoscere almeno un po’ Mun Yeong e di non essere soltanto un mero parassita che vive dei suoi successi al cento per cento (lo è solo al novananove, LOL).
E poi c’è Jae Soo, che non riesco a non leggerlo come “Gesù”, altro personaggio la cui utilità è limitata all’occuparsi di Sang Tae e a seguire per qualche ragione in giro per le città i due fratelli, da bravo migliore amico di Kang Tae, e al dire a Mun Yeong qualcosa in più su quest’ultimo.
Non fraintendetemi, Jae Su è simpatico e dà il suo prezioso supporto all’amico di sempre, dicendo tra l’altro verso il finale una cosa che riassume il senso del drama e ne palesa il messaggio. Ma… non mi ha colpita, non c’è stata una reale bromance tra lui e il suo migliore amico, perché questo ruolo lo ha avuto il rapporto tra i due fratelli. Diciamo che anche il suo personaggio è piuttosto superfluo e non è un granché.
4. La relazione tra i protagonisti

La relazione tra Kang Tae e Mun Yeong è sicuramente particolare, sappiamo da subito che devono essersi conosciuti da bambini e che lei non gli ha nascosto la sua personalità buia e tendente al sadismo, cosa che lo ha fatto correre via a gambe levate.
Ma, nel momento in cui si svolge la storia, Mun Yeong sembra attratta da lui più per la sua bellezza che per altro (ricordate la questione delle cose belle?) e quella diventa la motivazione principale per cui decide che lo vuole accanto, in quanto riconosce in lui il perno di sicurezza che impedisce alla sua personalità di esplodere. Lo segue ovunque, lo vuole e non fa niente per fingere che non sia così, e soprattutto non agisce fingendo di essere chi non è, rimanendo genuinamente sorpresa del fatto che lui non ne voglia sapere nulla di una persona come lei. Diverse sue battute, inoltre, ci fanno capire che lei è consapevole di chi sia la persona che si trova di fronte e che c’è una storia più complessa dietro.
Ma Kang Tae la ritiene una folle, non però come le persone che segue per lavoro; la ritiene una persona cinica e praticamente cattiva da cui è meglio tenersi alla larga, perché queste cose non possono essere curate. Le dice esplicitamente che lei è come un guscio vuoto, non conosce sentimenti ed è mossa solo dall’estetica e dal possesso. Ma in qualche modo, complice l’insistenza della donna e il fatto che Kang Tae inizia a capire che ci deve essere un trauma passato che l’ha resa così, anche lui, per quanto non lo dimostri più di tanto, trova in lei qualcosa che lo attira e lo porta a preoccuparsi per lei.
A questo aggiungiamo il fatto che questi due personaggi si conoscono fin da bambini, e il legame, nonché i problemi, tra i due sono più radicati di quanto possano sembrare.
È interessante capire come si sviluppa la storia d’amore tra questi due personaggi, ognuno con ferite difficili da elaborare, ognuno a modo suo fragile e incompreso. Mun Yeong ha i tratti caratteristici di chi soffre del disturbo antisociale di personalità, spesso la sua moralità rimane chiusa fuori dalla finestra e lei dice e fa cose del tutto sbagliate, come usare Sang Tae come esca per ribadire a Kang Tae che non può scappare da lei. È crudele, ma non lo capisce; è come se per raggiungere un obiettivo fosse disposta a fare di tutto. Quante volte nel drama ha minacciato di uccidere il protagonista che cercava di andarsene?
Mun Yeong arriva al punto di far firmare un contratto da illustratore a Sang Tae, sapendo bene di essere il suo idolo e con l’obiettivo di tenere in pungo Kang Tae; la scena in cui Kang Tae strappa il contratto e viene picchiato proprio dal fratello maggore, che continua a ripetere di appartenere solo a sé stesso, con Kang Tae che ovviamente non reagisce e ha gli occhi pieni di lacrime, mi ha fatto venire i brividi. Ribadisco il mio amore per Sang Tae e l’attore che lo ha interpretato!
Così come mi hanno toccato i momenti in cui Ko Mun Yeong è più debole, cioè nel sonno; sua madre le appare in ogni incubo e lei non può far altro che piangere e gridare senza che il suo corpo riesca a muoversi, preda delle emozioni e della paura.
Tuttavia, il comportamento moralmente scorretto di Mun Yeong che si intromette nella relazione tra i due fratelli ha anche uno scopo preciso: far capire a Kang Tae che occuparsi di suo fratello e amarlo non è qualcosa che gli deve impedire di fare scelte che riguardino sé stesso, non è qualcosa che deve vivere come una catena, ma come un amore fraterno, un esserci sempre per Sang Tae che non preclude il vivere una vita propria, stando alle proprie regole e seguendo le proprie inclinazioni.
Le farfalle, di cui vediamo richiami costanti dall’inizio alla fine della serie, hanno un doppio significato (o triplo). Il fatto che Sang Tae ne sia spaventato e che Mun Yeong ne spezzi le ali è collegato alla figura della madre di Mun Yeong, una donna spaventosa, nonché, come si apprenderà verso la fine, assassina della mamma dei due fratelli.
È bello che Kang Tae, quando fa questa scoperta, inizialmente sembri arrabbiato con Mun Yeong, ma poi confidandosi con il direttore dell’ospedale sostenga di non volere che Mun Yeong soffra nello stesso modo, preferirebbe che rimanesse una lattina vuota e senza emozioni per non provare il dolore lancinante che sente lui in quel preciso momento.
Ho apprezzato davvero tanto il fatto che la battuta della lattina vuota ricorra nel drama e non sia stata messa lì a caso, solo per cercare di descrivere la Mun Yeong dell’inizio della serie; così come è bello che la tecnica della farfalla che Kang Tae insegna alla protagonista per calmarsi venga ripetuta ogni qual volta Mun Yeong è in crisi, come succede proprio quando capisce che la farfalla che ha spaventato Sang Tae per tutti quegli anni altri non era che sua madre.
Dall’11^ episodio Kang Tae inizia a lavorare sul suo rapporto col fratello, che anche se all’inizio oppone resistenza, poi fa dei gesti dolcissimi e commoventi, arrivando ad accettare anche Mun Yeong come parte della famiglia. Infatti, Kang Tae inizia a fare uno sforzo per uscire dalla sua comfort zone e cercare di bilanciare le due cose, il fratello e la donna che ama; d’altro canto, Sang Tae comincia a fare lo stesso e a capire che suo fratello minore non appartiene a nessuno se non a se stesso.
E poi, il primo bacio della coppia protagonista.
Paliamone.
“Quando stai per perdere il controllo, conta fino a tre.”
Ed ecco che arriva il tanto agognato bacio, ed è un tripudio di OMG (oh my god), perché non avevo atteso così tanto un bacio della coppia protagonista dai tempi di Itaewon Class… oddio, in realtà da prima, da Crash Landing On You.
E questi due individui, gli attori Kim Soo Hyun e Seo Ye Ji, ce ne hanno regalato uno bellissimo, delicato, che fa sognare. Si sentono soltanto i loro respiri fino a un secondo prima che le loro labbra si tocchino, ed è qualcosa che permette allo spettatore di avvertire ancora di più la trepidazione di entrambi. Si vede l’agitazione di Mun Yeong subito dopo, i suoi occhi che saettano sul viso di lui.

Senza parlare del secondo e ultimo bacio, con il divertente siparietto del cervo. Lasciatemelo dire, probabilmente a loro va il premio di miglior bacio del 2020 in un K-Drama (per ora!)
Ho già detto che adoro questi due attori?
Sono fantastici anche nelle gag più comiche, tanto quanto lo sono nei momenti di maggiore tensione emotiva.
Nel 13^ episodio ci viene lanciato addosso un plot twist che onestamente non mi ero aspettata, anche se effettivamente c’era qualcosa di ambiguo nell’infermiera capo, Park Haeng Ja; certe sue reazioni nel corso del drama, il fatto che rivolgesse alcune risposte pungenti a Mun Yeong, e poi che gradualmente le scene che la includevano fossero diventate sempre meno allegre.

Questo personaggio è una donna psicopatica, e sul web si possono rintracciare diversi post scritti da chi ne sa qualcosa (non certo io, che mi limito a riportare quanto scritto da psicologi e chi è competente nel campo); credo che sia illuminante leggere questi brevi contributi anche solo per capire la cura che è stata messa nel confezionare questo drama e i suoi personaggi, per accorgersi di come piccoli gesti e piccole sfumature vadano a ricreare il quadro di una personalità alterata, disturbata, che agli occhi di tutti è sembrata perfettamente normale.
Una nota di merito va anche all’interprete di Park Haeng Ja, Jang Young Nam, davvero brava nel mostrare l’instabilità mentale del suo personaggio.
Dopo aver appreso che sua madre è l’assassina della madre di Kang Tae e Sang Tae, Mun Yeong soffre moltissimo, è distrutta, e Kang Tae non smette di starle accanto nonostante la situazione delicata. E qui vorrei dire: grazie, sceneggiatrice, che non li hai fatti allontanare inutilmente, che hai dotato Kang Tae di un po’ di umanità, che non hai usato un incidente di cui nessuno dei due ha colpa per dividerli. Per lui Mun Yeong è Mun Yeong, non la figlia di un’assassina, è qualcuno che non ha colpe, è lei stessa vittima della crudeltà della madre.
Si tratta per tutti di una sofferenza catartica, che li aiuterà ad affrontare lo scontro finale, quello che li libererà dal demone che li ha perseguitati come un’ombra per tutti quegli anni e che non ha permesso a nessuno dei tre di vivere con spensieratezza fino ad allora.
Nota: continuo a pensare che i momenti più toccanti del drama siano quelli che coinvolgono anche Sang Tae, e quelli che mostrano il lato più dolce, più commovente del rapporto con suo fratello e che fanno capire quanto anche Sang Tae abbia da dare a coloro a cui vuole bene.
Alla fine della serie, finalmente, Jae Soo dice a Kang Tae una sacrosanta verità: è fragile, così come lo è Mun Yeong, e sono sempre le persone più deboli a mettere su una maschera di finta forza e a fingere di potercela fare da soli, quando in realtà hanno estremo bisogno di contare su qualcuno… e che qualcuno conti su di loro.
Kang Tae, e non solo lui, deve accettare le sue debolezze e capire come affrontarle.
Forse è il contributo più utile dato da Jae Soo alla narrazione: fare aprire gli occhi al suo amico di sempre.
5. La produzione

Il drama è confezionato davvero molto bene, la regia, l’editing, le transizioni tra le scene (fantastiche!) tutto concorre a fare di questo drama un ottimo prodotto, sicuramente uno dei migliori usciti ultimamente (quello che non è successo con The King: Eternal Monarch, di cui potete trovare la recensione qui).
La scena in cui (ep. 12) Sang Tae aiuta uno dei pazienti della clinica a calmarsi mentre si trova in autobus mi ha fatto venire i brividi anche per come è stata editata e assemblata, con la sovrapposizione dello spazio angusto del bus e delle zone di guerra, con le allucinazioni uditive che l’anziano uomo continua ad avere, fino a tornare alla realtà del racconto.
Anche certe chicche di fine episodio, come la rappresentazione a mo’ di cinema muto della storia di Barbablu, meritano una menzione speciale.
In generale, a parte errori di raccordo tra le inquadrature, che ci sono in ogni prodotto audiovisivo (esempio, un personaggio con le braccia incrociate nell’inquadratura seguente le ha dietro la schiena, senza che ci sia stato un movimento che abbia fatto capire che avrebbe cambiato posizione), do un 10 agli aspetti tecnici e realizzativi della serie.
E anche i costumi hanno dei significati precisi, come ha rivelato la costumista stessa. Gli abiti colorati di Mun Yeong sono una delle sue armi di difesa, sono delle allegre decorazioni di un sé che è in realtà “infinitamente debole”, e la stilista ha scelto un tipo di abiti che tendono più al gotico e che si sposano quindi bene sia con l’atmosfera generale del drama che con le storie scritte da Mun Yeong.
Anche i vestiti di Kang Tae sono indice della sua personalità: semplici, scarni, privi di brio. Rispecchiano il modo in cui ha vissuto il ragazzo, dedicandosi completamente a suo fratello maggiore anziché a se stesso, vivendo un’esistenza apatica in cui i suoi sogni si sono sbiaditi.
La colonna sonora non la definirei memorabile, ma non significa che non sia adatta al drama e alla sua atmosfera, a metà tra la realtà e l’onirico o una fiaba un po’ oscura. Tuttavia, sotto questo aspetto si sarebbe potuto fare molto meglio, ampliando il range di tracce che avrebbero fatto da cornice ad una storia ben narrata. A parte questo, credo quindi che le poche canzoni della OST siano comunque adatta alle atmosfere della serie, anche se non posso dire che mi siano rimasta in testa.
6. I lati negativi
Per quanto questo drama abbia molti più lati positivi che negativi, è giusto parlare anche di ciò che avrebbe potuto funzionare meglio.
Inizialmente, per il modo in cui certi casi clinici dei personaggi secondari sono stati trattati, passava il messaggio che con un po’ d’amore si risolve tutto, così come dando sfogo alle proprie necessità. È chiaro che sia un’idea romantica delle cose, e che quando si parla di malattie mentali non basta l’amore per curarle, anche se di certo è fondamentale avere il supporto di persone che ci vogliono bene per affrontare le nostre debolezze.

Tuttavia, questo aspetto che semplifica un po’ troppo il processo di guarigione soprattutto di Mun Yeong emerge proprio in modo massiccio nella sua relazione con Kang Tae. Da quando lo incontra, gradualmente, lei cambia in un modo che esula un po’ dal un arco narrativo credibile al cento per cento. Tutta la rabbia repressa dell’inizio, gli scatti d’ira, i suoi comportamenti da persona che soffre di un disturbo antisociale di personalità conclamato, risultano molto sfumati in diversi momenti della serie. Non al punto da essere cancellati del tutto, perché in tutta onestà ci sono degli sprazzi della Mun Yeong degli inizi, del suo carattere deciso e senza filtri. Il fatto è che, per quanto questo drama faccia un buon lavoro nel presentare e trattare le malattie mentali rispetto ad altri drama, Mun Yeong non non riceve nemmeno un aiuto professionale per cercare di guarire davvero dal suo disturbo, e allora viene da chiedersi: è davvero così semplice uscire dal tunnel di una malattia mentale?
La risposta, naturalmente, è no.
Alla fine, per due menti fragili come quelle dei due protagonisti, sapere che la madre di una ha ucciso quella dell’altro è qualcosa che rimarrà sempre lì, latente, anche se i due personaggi faranno finta di niente e faranno vincere i propri sentimenti l’uno per l’altra.
Nella realtà, difficilmente le cose potrebbero risolversi con la stessa facilità.
Sono la prima a dire che quando ci si siede comodamente davanti a uno schermo si accettano delle convenzioni proprie delle storie di finzione; si accettano anche sviluppi poco verosimili di una storia, se tutto il resto che gli fa da contorno è parte di una narrazione coerente e se ha senso all’interno di quella cornice.
Ma è comunque giusto evidenziare anche i lati negativi di un bel drama, che avrebbero potuto essere risolti in modo diverso, donandogli un po’ di credibilità in più.
Esempio, per chi ha visto Healer: il protagonista scopre che forse suo padre ha ucciso il padre della donna che ama. Va in crisi, non sa come fare a dirlo a lei, né ha idea di come farebbe a sopportare un tale peso, qualora si rivelasse tutto vero, perché probabilmente non ci riuscirebbe. E anche lei, una volta saputo tutto ciò, mostra di barcollare un po’ nonostante l’amore per il ragazzo, e gli intima di fare di tutto per trovare le prove necessarie a dimostrare che non è successo davvero, cosicché possano continuare con le proprie vite.
Per fortuna, nel corso della storia si viene a sapere che le cose sono andate diversamente, e il peso che una simile situazione avrebbe gettato addosso ai protagonisti si dissolve come fumo.
Qui no; la madre di Mun Yeong ha davvero ucciso quella dei due fratelli, e in più attenta anche alla vita di questi ultimi sul finale della serie, in cui Sang Tae ottiene il suo riscatto simbolico sulla donna.
Davvero due persone già emotivamente e psicologicamente provate come i due protagonisti riuscirebbero a sopportare di trascinarsi dietro qualcosa di tanto atroce, da cui peraltro si sono originati proprio i maggiori problemi di Kang Tae e Sang Tae?
Non è colpa loro, è vero, e Kang Tae dimostra di amare Mun Yeong per quello che realmente è (una cosa meravigliosa), ma questo sviluppo un po’ troppo all’acqua di rose non mi convince, anche se è bello credere che possa essere così. Forse, un lieto fine fin troppo lieto per questi personaggi, ma pur sempre accettabile e consono al drama e al messaggio che vuole far passare; trasmette un senso di speranza allo spettatore, una positività che ribalta il clima dark e decisamente meno allegro dell’inizio della serie.
7. Considerazioni finali
It’s Okay To Not Be Okay è un cerchio che si chiude, sia sul piano narrativo che riguarda prettamente i personaggi e la loro evoluzione, sia su quello visivo, che gioca anch’esso con lo spettatore. Vediamo, infatti, che fin dall’inizio la narrazione è rappresentata visivamente come fosse un cartoon 3D, con i due personaggi-bambole che sono i carinissimi protagonisti. Ma è soltanto alla fine che capiamo chi è l’autore di queste simpatiche figure, e altri non è che Sang Tae, il quale è diventato oramai un illustratore a tutti gli effetti e ha dato vita agli alter ego su carta scritti da Mun Yeong.
Ci sono poi delle scene che vengono riprese e ribaltate sul finale della serie, tra cui quella simpaticissima che vede Mun Yeong gridare a Kang Tae che lo ama per non farlo allontanare; alla fine, è Kang Tae a urlarle che la ama per cercare di ottenere la stessa reazione (invano).
E poi, tornano tutti; i personaggi che abbiamo visto “di sfuggita” non si sono persi nel nulla, tornano a supportare Mun Yeong e i due fratelli durante la presentazione del nuovo libro, che non a caso avviene proprio all’interno dell’ospedale psichiatrico.
Decisamente toccante il momento in cui Sang Tae riconosce definitivamente che il fratello appartiene solamente a se stesso e afferma con determinazione di voler fare l’illustratore professionista, spiegando le sue ali e staccandosi così, almeno in parte, dal fratello minore.
Tutti hanno imparato qualcosa, tutti hanno avuto un percorso di crescita, di maturazione e anche di guarigione che li ha portati a un nuovo inizio, una serenità ritrovata da cui poter ripartire daccapo e riprendere in mano le proprie vite.
In sostanza, It’s Okay To Not Be Okay è una storia dai toni gotici, che scava nella psicologia di personaggi emotivamente feriti, condita con l’eccellente performance dei protagonisti, una bella sceneggiatura, una sapiente regia e una post-produzione degna di questo nome.
Siamo sicuramente di fronte a uno dei drama migliori della prima metà del 2020, nonostante gli ascolti (comunque buoni) non gli abbiano reso la giustizia che merita. Ha ugualmente conquistato il primo posto tra i drama di cui si è parlato di più nel periodo in cui è andato in onda, e ha di certo catturato i cuori del pubblico internazionale.
Che dire, se avete letto fin qui e non lo avete ancora guardato… affrettatevi a farlo! 🙂

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